Parco dell'Aspromonte

Parco dell'Aspromonte

Parco Nazionale dell'Aspromonte

“Il sentiero si snoda entro e fuori valli e burroni, si arrampica sulle alture punteggiate di felci e cisti riarsi dal sole, ridiscende in radure rugiadose orlate di precipizi e sormontate da felceti scoscesi, serpeggia di nuovo sotto i pini inerpicandosi in zig-zag interminabili solo per svanire ancora una volta nella penombra di abissi più profondi, fiancheggia un ruscello dai bordi precari finché qualche nuovo ostacolo blocca la via- e così per lunghe, lunghe ore..
.”. Così Norman Douglas, l’aristocratico del XIX secolo autore di “Old Calabria”, ci accompagna nel viaggio alla scoperta dell’Aspromonte, alle propaggini meridionali della Calabria, su un massiccio che domina due mari e gode di un indimenticabile panorama che nelle giornate limpide conduce lo sguardo fin’oltre i profili delle Eolie e dell’Etna.
L’estrema bellezza di questo Monte rivaleggia solo con la sua fama e le sue contraddizioni, a partire dal nome che, pur evocandone il carattere di estrema asprezza, la natura secca e dirupata, secondo alcuni dovrebbe significare “monte bianco”, a motivo del colore chiaro di alcune delle sue rocce del versante orientale.
Questo giovane Parco, nato solo nel 1994 con i suoi 78 mila ettari di estensione, è stato creato per proteggere una terra antica, nella quale si nascondono tesori unici che vanno assolutamente tutelati, tesori che sono frutto di una combinazione irripetibile di fattori umani e naturali: aspre montagne ricoperte da fitta e centenaria vegetazione, splendide quanto nascoste cascate, valloni talmente impervi e intricati da non essere stati mai percorsi dall’uomo, rocce a picco appuntite o arrotondate dalle forme più incredibili e a volte uniche, come la famosa Pietra Cappa, canaloni e dirupi, strade spesso silenziose, piante e animali rari.
In Aspromonte, come ha insegnato Corrado Alvaro (scrittore e giornalista nato nel 1895 a San Luca, autore di “Gente d’Aspromonte”), è possibile passare dalla frescura di un bosco secolare d’annosi faggi, pini larici o abeti bianchi, sotto i quali spesso si nasconde la rara felce aquilina, relitto di ere glaciali, alla calura di altopiani assolati e nudi, dove solo la gariga sopravvive al vento impetuoso.
I tre sentieri principali, quello del Brigante che collega Gambarile a Stilo, quello dell’Inglese, in onore del paesaggista anglosassone Eward Lear, che nel 1847 percorse a piedi tutto il periplo del massiccio, ed infine il sentiero Italia, sono le vie principali e sicuramente le più sicure per poter ammirare una natura in cui paesaggi e scenari mutano di continuo, si modificano e si alternano, quasi a dare un piacere unico, estremamente intenso e continuamente mutevole ad ogni escursione. Nonostante il bracconaggio e gli scempi del passato fra inutili quanto distruttive strade, nonostante la devastazione del bosco avvenuta in secoli di sfruttamento, l’Aspromonte è ancora un ambiente magico, regno minacciato dello schivo lupo, del silenzioso gatto selvatico, del piccolo driomio (simile al ghiro), dell’ormai rarissimo istrice e della veloce martora, ma soprattutto dell’ “aquila che ama il mare” o aquila di Bonelli, che nidifica sulle scogliere e sulle pareti di roccia inaccessibili, spesso a poca distanza dall’azzurro delle onde.
Se la flora e la fauna di questi luoghi sono un patrimonio da tutelare assolutamente, altrettanto vale per i piccoli borghi arroccati sulle montagne, splendidi gioielli d’arte e di storia che mostrano come l’immensa varietà paesaggistica di un territorio dalle splendide attrattive, possa integrarsi in modo mirabile alle vetuste opere dell’uomo. L’antica Pentadattilo, abbarbicata su una rupe a cinque punte dalla quale prende nome, e il caratteristico nucleo antico di Palizzi, con il castello medioevale, ci narrano una sconosciuta storia calabrese; Gerace, sul versante orientale, cittadina di antica struttura risalente al XII-XIII sec., dominata dalla rupe del Castello, testimonia altrettante vicende della storia e della cultura di questa regione. Più a sud, nel centro di Bova, gli stili architettonici delle varie epoche, dal medioevo al settecento, si intrecciano per mostrare i caratteri della peculiare cultura delle misteriose ed affascinanti comunità grecaniche.
Solo qui e nel Salento, infatti, si trovano le uniche due aree geografiche italiane dove vivono minoranze di lontana origine greca: è quel che resta delle immigrazioni bizantine del VI-XII secolo, sovrappostesi a loro volta ai coloni di quella che fu la Magna Grecia.
Si narra infatti, che un gruppo di Achei guidati dall’Oracolo di Delfi arrivò fino alle coste della Calabria nel lontano 710 a.c., e vi fondò Crotone. Questa divenne ben presto uno dei punti di riferimento principali per i traffici mercantili fra oriente e occidente, terra di superbi atleti, crocevia di culture e base di numerose scuole, fra le quali una delle più famose dell’Ellade, la scuola medica di Alcmeone.
Ma la zona di Crotone e dell’Aspromonte soprattutto, può celebrare ancora oggi a gran voce il suo prestigio per aver dato i natali ad uno dei più grandi sapienti dell’antichità: a Samo, infatti, nel 570 a.c nacque e fondò la sua scuola filosofico-matematica il celeberrimo Pitagora.
Arte e storia si legano così in un intreccio inscindibile, per guidare ad una visita che consente un tuffo in una dimensione surreale e quasi fuori dal tempo, nel passato e nel presente di tradizioni ataviche, gelosamente custodite e tramandate di padre in figlio,abitudini e costumi testimoniati da lavorazioni artigianali che danno alla luce oggetti unici e da feste ed eventi in altri luoghi dimenticati.
La natura si apre invece per mostrare lo scenario spettacolare di una terra arsa ed ostile, ma sorpresa dall’apparizione improvvisa delle acque fresche dei torrenti e dal verde di boschi rigogliosi, una natura che invita ad addentrarsi in un territorio leggendario e troppo spesso famigerato, dove il mito si confonde con la realtà per creare suggestioni indimenticabili.

Aromi e sapori
Erede dell’antica e fiorente civiltà della Magno Grecia, la Calabria ha coltivato fra le varie arti anche quella culinaria, dando vita ad una cucina povera e semplice, legata alla valorizzazione dei prodotti della terra, ma che sa anche assumere aspetti e forme sontuose per offrire, accanto ai sapori aspri e piccanti, delicate pietanze caratterizzate da estrema sobrietà e da un gusto inconfondibile.
La gastronomia calabra è fedele interprete del carattere della regione; come questa, è contraddittoria ed estremamente varia, selvaggia ed indiscutibilmente bella l’una, buona l’altra. E proprio come la sua terra, ha una lunga storia da raccontare, una storia fatta di incroci e sovrapposizioni di culture e abitudini della tavola.
Dai Greci (come si è detto, i primi fra gli stranieri ad approdare sulle coste della penisola), è derivato alla cucina calabrese l’uso delle olive, della ricotta salata ed affumicata, delle focacce, dei capitoni e dei pesci di ogni genere, nonché del miele così spesso protagonista di squisiti dolci come i celebri “mostaccioli”, del vino che nasce da rinomati e millenari vigneti, delle salse e della cacciagione.
Dai Bizantini, derivò invece l’uso delle spezie e dei formaggi piccanti, fra i quali si distingue il pecorino delle terre d’Aspromonte, simbolo di tutti quei latticini che, per le loro intrinseche qualità sono sempre più spesso elementi essenziali e non solamente piacevole contorno delle tavole calabresi. Si devono menzionare, infatti, il celebre Caciocavallo Silano Dop, il butirro, la giuncata, la ricotta vergine ed il “vacchino di Serra San Bruno”. Fra le spezie, invece, il vero protagonista è il peperoncino che, crudo essiccato o macerato nell’olio, insaporisce tradizionalmente tutti i piatti della cucina tipica.
Dai Normanni e dagli Svevi, invece, giungono fino a noi gli arrosti, i quali, dopo aver sperimentato numerose varianti, oggi si lasciano assaporare in delicate e speziate ricette pensate per cuocere le carni di capra, come usa fra le comunità grecaniche; oppure hanno dato vita ai saporiti ragù che condiscono la pasta rigorosamente fatta in casa dei paesini arroccati sulle pendici degli altipiani, o ancora, si distinguono nella tipica ricetta dei “galletti al forno” di Altomonte. Sempre dai Normanni, la Calabria ha ereditato il buon gusto per i pesci secchi e salati, come il pescestocco ed il baccalà, che si vanno ad aggiungere ai mille modi in cui il pesce di mare viene servito sulle tavole contemporanee, fra zuppe, fritti e aromatizzate cotture al forno.
Dagli spagnoli, poi, i calabresi hanno appreso ad usare le patate, le melanzane e il pomodoro a “stricasale”, aggiungendovi fantasia e creatività, e facendo così in modo che, melanzane e peperoni ripieni ed altri numerosi prodotti dell’orto, magari conservati sott’olio, assurgessero a protagonisti della gastronomia e fossero col tempo considerati pietanze principali di essa.
Dagli Angioini derivano invece quel tocco di raffinatezza francese che possiamo apprezzare negli insoliti e gustosi affiancamenti della maggior parte delle ricette calabresi, come ad esempio nei famosi “cavatelli” (orecchiette fatte in casa), conditi con ragù di carne e spruzzati da ricotta stagionata.
Dei calabresi, infine, è l’amore per le tradizioni e la genuinità, la capacità di amalgamare i retaggi di culture diverse in un’unica splendida gastronomia tipica, l’impegno ad una rielaborazione attiva affiancata alla fedeltà ai propri gusti ed alle proprie caratteristiche. Indiscutibilmente autoctoni sono i numerosi insaccati: dalle salsicce alle soppressate fino al capicollo, che rappresentano un capitolo fondamentale della gastronomia della regione.
Da ultimo, ma non certo per importanza, troviamo il vino, autore di una considerevole parte di storia della gastronomia calabra: due celebri vini Doc di grandissimo pregio, il “Cirò” ed il “Melissa”, si producono nella zona del Crotonese (che vanta vitigni dalle nobili ed antiche origini), e sono ottimi da sorseggiare insieme a piatti importanti e saporiti come gli arrosti di carne o di selvaggina. Non bisogna tralasciare che comunque tutti i vini di Calabria vantano una storia millenaria, che ha condotto la regione all’ottenimento di altre Doc, oltre ai due già citati, e precisamente: il “Bivongi”, il “Pollino”, il “Crati”, il “Greco bianco”, il “Lamezia”, ed il “Savuto”.

 

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