Favismo

Poiché è dovuta a un deficit enzimatico, è classificata come un’intolleranza alimentare tra le più diffuse insieme a quella per il lattosio, ma può dare dei sintomi decisamente più importanti.
 
Sempre più spesso, ormai, si scoprono intolleranze ad alimenti specifici o ad intere classi, come nel caso dei latticini o della soia e la maggior parte delle volte è sufficiente eliminarli dalla propria dieta per stare bene. Esistono però delle intolleranze che possono avere ripercussioni ben più serie di un banale mal di pancia e per questo è importante diagnosticarle precocemente. Una di queste è certamente il favismo. Nel mondo, sono circa 400 milioni di individui ad essere affetti da questa malattia genetica a  carattere ereditario, caratterizzata dal fatto di esistere in diverse varianti. Una di queste è caratteristica del bacino mediterraneo, da cui prende il nome ed è particolarmente diffusa nella zona dell’antica Magna Grecia, esattamente come l’anemia falciforme. Entrambe queste patologie sono accomunate da un difetto ai globuli rossi, luogo dove il plasmodio della malaria svolge il suo ciclo vitale. Poiché sia nel caso della talassemia che in quello del favismo questi organuli risultano mutati, sono stati favoriti, nei secoli, quegli individui portatori di queste malattie, che li rendevano resistenti alla malaria. E proprio dove questa malattia è più diffusa il favismo ha la sua più elevata incidenza: in Africa, circa il 20% della popolazione, in particolare quella bantu, ne è affetta, dato che oscilla invece tra il 4 ed il 30% in Grecia e Sardegna, nonostante si annoverino dei casi anche nell’Asia meridionale e nel bacino del Mediterraneo. Ma che cos’è il favismo?

DI COSA SI TRATTA
Il favismo è tra le più frequenti forme di deficienza enzimatica. Le persone che ne sono affette hanno una carenza congenita di una proteina normalmente presente nei globuli rossi: la glucosio-6fosfato-deidrogenasi (G6PDH), un enzima molto importante per la loro vitalità, coinvolto in numerose reazioni metaboliche, quali i processi ossidoriduttivi che in essi si svolgono. Nelle fave (da cui il nome della malattia), ma anche nella Verbena Hybrida, in alcuni farmaci (sulfamidici, antimalarici, aspirina ecc.) ed in varie droghe vegetali sono contenute delle sostanze (vicina e canvicina) che sono in grado di inibirne l'attività, scatenando così i sintomi della malattia, che possono essere talora anche molto gravi. In seguito alla loro ingestione, infatti, si manifesta la crisi, con la comparsa di ittero ed anemia emolitica, dovuta alla distruzione dei globuli rossi. La glucosio-6fosfato-deidrogenasi infatti ha il ruolo di mantenere il glutatione ridotto (il cui compito è quello di difendere la membrana cellulare dall'ossidazione) in quantità adeguate all'interno dell'eritrocita (globulo rosso). Se la sua attività si blocca, il glutatione ridotto diminuisce e non è più in grado di svolgere la sua funzione protettiva. In particolare si altera la cosiddetta "pompa degli ioni", che regola lo scambio di questi elementi nella cellula, per cui si verifica un ingresso incontrollato di sodio ed acqua all'interno del globulo rosso, che scoppia: si arriva cioè all'emolisi.

I SINTOMI
La comparsa dei sintomi si manifesta entro 12-48 ore dall'ingestione dei cibi sopraindicati, in maniera improvvisa. È più frequente nei bambini, poiché i genitori spesso sono all'oscuro del fatto che i figli abbiano questo problema. Il colorito diviene giallo intenso su fondo pallido, mentre le mucose, per via dell'emolisi, si presentano estremamente chiare. Nei casi più gravi, quasi la metà dei globuli rossi viene distrutta, le urine divengono ipercolorate ed appaiono i segni di un collasso cardiocircolatorio. Esistono dei fattori che possono influenzare la suscettibilità individuale
e la gravità delle emolisi ossidative indotte dai farmaci o dalle fave, come l'età e la presenza di altri stress ossidativi o di infezioni.

LA DIAGNOSI
Il metodo per diagnosticare questa carenza enzimatica è poco invasivo: infatti è sufficiente un prelievo di sangue, con cui si determina il livello di G6PDH nei globuli rossi. Con questo esame è possibile anche stabilire se si è portatori, in quanto questa categoria presenta dei valori intermedi dell'enzima. Solitamente risultano esserlo le madri e le sorelle dei bambini affetti da favismo, mentre gli individui di sesso maschile possono essere solo sani o malati.
La vita di chi soffre di questo problema è assolutamente normale, a patto che si stia molto attenti ad evitare le fave ed i farmaci segnalati. Data la severità dei sintomi conseguenti ad un'ingestione di sostanze "proibite" è bene effettuare un'analisi precoce, per stabilire se il bambino sia o meno affetto da favismo, specie se si è a conoscenza di precedenti familiari.  In caso positivo, bisogna comunicare la notizia alla scuola, specie se il bambino consuma i pasti in mensa e ad ogni medico che gli prescriva dei farmaci. È inoltre importante che anche il diretto interessato sia a conoscenza della propria condizione, in modo da essere in grado di evitare da solo i cibi che accidentalmente potrebbero essergli offerti da persone all'oscuro della sua carenza enzimatica.

UNA QUESTIONE DI GENI
Qual è la probabilità che un figlio soffra di favismo? Dipende dalla situazione genetica dei genitori. 
Ogni caratteristica, dal colore dei capelli a quello degli occhi, è codificata da una coppia di cromosomi, cioè ci sono due cromosomi che regolano lo stesso carattere, uno paterno ed uno materno. Ad esempio, il carattere "colore degli occhi" è codificato dal cromosoma materno "occhi azzurri" e da quello paterno "occhi neri". Il bambino avrà nel suo corredo genetico entrambi questi cromosomi, anche se sarà solo uno di loro a determinare il colore degli occhi; l'altro farà, per così dire, da scorta. Ovviamente in questo caso il secondo cromosoma è inutile, ma nel caso del favismo non è così.  I cromosomi che determinano il sesso sono due: X ed Y. Il sesso maschile è dato dall'accoppiamento del cromosoma X con il cromosoma Y, perciò un maschietto presenterà la coppia XY, mentre il sesso femminile è dato da due cromosomi X, per cui le femminucce avranno la coppia XX. Il gene che codifica per il favismo è situato nel cromosoma X del sesso, per cui si possono verificare differenti situazioni a seconda dello stato dei genitori (N.B: il cromosoma X su cui è presente il gene del favismo è stato indicato in rosso):

Caso 1:

MADRE PORTATRICE

PADRE SANO

 

X

Y

X

XX femmina sana

XY maschio sano

X

XX femmina portatrice

XY maschio malato

In questo caso le figlie femmine avranno il 50% di probabilità di essere portatrici, ma non si ammaleranno, mentre il 50% dei maschi avrà questa possibilità. Infatti, una femminuccia possiede, oltre al cromosoma X malato, quello sano, che svolge le funzioni che l'altro (malato) non ha. Per un maschietto, questa situazione non si verifica, poiché manca il supporto di un cromosoma X sano (il sesso maschile ha un solo cromosoma X).

Caso 2:

MADRE MALATA

PADRE SANO

 

X

Y

X

XX femmina portatrice

XY maschio malato

X

XX femmina portatrice

XY maschio malato

In questa eventualità, tutte le figlie femmine saranno portatrici, mentre i maschi saranno affetti da favismo.

Caso 3:

MADRE PORTATRICE

PADRE MALATO

 

X

Y

X

Xfemmina portatrice

XY maschio sano

X

XX femmina malata

XY maschio malato

Con questa situazione, le figlie femmine saranno malate o portatrici, mentre i maschi avranno il 50% di probabilità di essere fabici.

Caso 4:

MADRE SANA

PADRE MALATO

 

X

Y

X

Xfemmina portatrice

XY maschio sano

X

Xfemmina portatrice

XY maschio sano

In quest'ultimo caso, tutte le figlie femmine della coppia saranno portatrici, mentre i maschi saranno sani.

Come si può osservare, il padre non trasmette il cromosoma X ai figli maschi, per cui l'eventualità che la discendenza maschile sia affetta da favismo si presenta solo se anche la madre è malata o portatrice; nel caso della progenie di sesso femminile, invece, un ruolo paritetico è giocato da entrambi i genitori ai fini della malattia. 
 
UNA NOTA POSITIVA
Una buona notizia per chi soffre di favismo: da un recente studio condotto dall'Università di Sassari si è osservato che molti tra gli ultracentenari sardi hanno in comune la carenza di G6PDH. È noto ormai da tempo che nelle popolazioni sarde 135 persone ogni milione sono destinate a spegnere le cento candeline (contro una media occidentale di 75), in particolar modo nell'entroterra nuorese, dove la media sale addirittura a 240.  Il dato interessante è però che l'incidenza del favismo in questi gruppi è doppia rispetto a quella riscontrata nei gruppi di controllo ed è ritenuto dagli esperti un dato molto importante, perché è la sola differenza significativa riscontrata finora tra queste persone ed i comuni "mortali". Il gene della glucosio-6-fosfato-deidrogenasi è stato oggetto di studi approfonditi, perché sembra giocare davvero un ruolo fondamentale nel combattere gli stress ossidativi (colpevoli anche della formazione dei celeberrimi radicali liberi), ritenuti responsabili dell'invecchiamento cellulare. Si sospetta che questa caratteristica sia correlata anche con degli aspetti tipici dell'isola, quali il territorio o l'alimentazione, compreso il vino: che sia racchiuso in un buon bicchiere di vino sardo il segreto dell'eterna giovinezza?

 

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