Parco d'Abruzzo

Parco d'Abruzzo

Il cuore aspro della regione

Quando l’undici gennaio del 1923 nacque per Regio Decreto il Parco Nazionale d’Abruzzo, solo un mese dopo la costituzione del Gran Paradiso, l’Italia era quella di Mussolini e Benedetto Croce; iniziava così il cammino di una nazione che si accingeva a tutelare gli aspetti paesaggistici e naturalistici delle sue aree montane più affascinanti, oasi faunistiche e floreali, distese boschive e altipiani che necessitavano protezione e tutela, minuscoli borghi di contadini e pastori legati ai mestieri e ai costumi della tradizione, lontani dalla modernità e dal corso della storia, che esigevano di essere valorizzati.

Il Parco nacque “dalla montagna”, come una sorta di baricentro in quota quando, nel lontano 1907, dopo l’abolizione della Riserva Reale di Caccia, la società “Pro Montibus et Sylvis” costituì autonomamente nella zona della Camosciara una riserva integrale. Ora, da quei 500 minuscoli ettari che la costituivano si è giunti alla grande estensione dei 40.000 che si spingono a toccare le province di Frosinone, Isernia e L’Aquila, comprendendo entro i loro confini tutte quelle montagne che, come scrisse Franco Tassi, “portano scolpiti i segni ben visibili degli enormi ghiacciai quaternari, discesi fin qui e oltre, lungo la penisola”. Questi monti ora fanno da corona alla Camosciara stessa, l’area più nobile del Parco con il suo anfiteatro di dolomie che offre uno scudo impermeabile alle acque creando spettacolari giochi di torrenti e cascate. Le alte cime del Monte Petroso da una parte, dall’altra il massiccio dei Monti della Meta, dove i riarsi e brulli profili appenninici si stemperano sotto i manti lussureggianti dei faggeti e delle verdi radure fra le rocce verticali, costituiscono un imponente baluardo verso il sud.
Alle propaggini dei confini meridionali dell’area protetta, la Catena delle Mainarde addentrandosi nel Molise, rivela un insolito paesaggio disegnato da un mare di boschi: verdissimi faggeti misti ad aceri, e poi roverelle, carpini e ornielli che ammantano le ripide pendici di origine glaciale e si spingono fino ai salti di roccia ed alle vette a picco.

Il Parco Nazionale d’Abruzzo è fatto dunque di montagna (e quali aspre montagne!), ma anche di acqua, guarda verso l’alto e si bagna di fiumi e di torrenti: e se il Sangro è il suo asse portante, anche il Melfa e il Giovenco contribuiscono a modellare suggestivamente il paesaggio, mentre cascate, cascastelle, sorgenti a altri piccoli o temporanei corsi d’acqua punteggiano le montagne.
Nel cuore del Parco, invece, Pescasseroli, la sua “capitale”, sorge orgogliosa delle sue antiche origini pastorali. E’ da tutti considerata la chiave per comprendere lo spirito di questo Abruzzo, fatto insieme di alte pianure e di massicci, di fiumi e di foreste, di santuari della natura e di campi da sci, di ospitalità estiva e di quiete, quella quiete che si coglie nelle lunghe passeggiate che restituiscono all’uomo il vero significato della sua essenza. Dal paese si dipartono, infatti, molti percorsi (in verità solo alcuni dei 154 sentieri guidati presenti), che conducono ai punti panoramici e soprattutto nel vero orizzonte montano. Qui, la selva si impone in tutta la sua solennità, dominata da fittissimi e plastici faggeti, ma disposta ad aprirsi a vaste pianure in cui la primavera si diletta a gettare i suoi colori: il viola intenso del giaggiolo, il rosso sgargiante della “scarpetta di venere”, il bianco candore dei gigli montani, il lilla delicato dell’Iris Marsica.
Vicino a Pescasseroli, su un promontorio roccioso della Val Fondillo, si inerpicano le minuscole stradine, le piccole case raggruppate a grappoli, le gradinate e la splendida parrocchiale del XII secolo di Opi, antichissimo borgo montano le cui origini si fanno risalire addirittura all’età italica e soprattutto al culto della dea pagana dell’abbondanza: Opi, appunto.
Sui fianchi immacolati della sua valle, o anche della Val Jannaghera, la Valle Lunga o la Valle di Rose, s’inerpicano sentieri fra i più belli e battuti del Parco, attraversando luoghi dove da tre quarti di secolo la natura è lasciata al proprio corso e che dunque sono divenuti il regno di orsi e lupi, nonchè del bellissimo camoscio appenninico, giunti fin dai Pirenei.
Se avvistare il vegetariano orso della Marsica o il più famoso dei predatori rimane un privilegio di pochi, lo spettacolo che offrono gli agili camosci è invece a portata di chiunque. Così, come qualche fotografo naturalista riuscirà a catturare con il suo obiettivo una lince, o il gatto selvatico, la martora, la lontra, la puzzola lo scoiattolo e l’arvicola delle nevi, che sono gli altri ospiti del Parco, alcuni riusciranno ad osservarli solo nelle varie oasi faunistiche create in diverse località del Parco.
Chi preferisce invece dedicarsi all’osservazione dell’avifauna, non potrà che rimanere soddisfatto scoprendo che, proprio tra le foreste di questa riserva si nasconde il rarissimo picchio dal dorso bianco, in buona compagnia di molti altri ospiti più o meno illustri e rari. Popolano infatti queste foreste e queste cime una serie di uccelli rapaci diurni e notturni, come i falchi pellegrini, l’astore o gli allocchi, o ancora l’imponente biancone che con la sua apertura alare di ben due metri si getta in picchiata su serpenti e rettili, e soprattutto l’aquila ed il gufo reali.
Ma la ricchezza e la varietà di ambienti del Parco è pronta a sorprendere di nuovo e ad invitare verso differrenti e particolari panorami, quando ci si avvicina ai suoi confini orientali. Alle alte quote, verso il Colle del Croce, troviamo i piccoli laghetti di Grottacampanaro, il capriccioso Lago Vivo, propriamente definito un lago a soffietto, e il lago artificiale della Montagna Spaccata, e poi sorgenti, fiumiciattoli e pozze d’acqua, tutte riparate fra macchie di salici, ontani, tigli e frassini.

Più a valle, la luce del tramonto pennella di rosa, rosso e indaco le acque e le rive del Lago di Barrea, alimentato dal fiume Sangro, un bacino artificiale che dal 1950 occupa la sede di un lago preistorico scomparso.
Su di esso si affacciano i paesini di Barrea, con il suo rustico centro abitato che ne rievoca le origini medioevali, almeno quanto i resti delle strutture militari e feudali del Castello, che è sempre pronta a stupire i visitatori con i reperti delle tombe dell’età del ferro, e Villetta Barrea. Questa contrada vanta origini millenarie: nacque sannita e divenne poi romana, arrivando ad acquisire la sua attuale fisionomia attorno ai secoli XIV-XV, durante i quali furono costruite la maggior parte delle abitazioni che ancora oggi si possono ammirare nel suo centro. A rendere ancora più peculiare il piccolo e suggestivo abitato che domina un pezzo di Sangro e si piega all’imponenza del Monte Mattone, c’è una piccola foresta di Pinus nigra, il famoso pino nero di Villetta Barrea, insolitamente autoctona e splendidamente fitta.

Ed infine, sulle sponde del bacino troviamo il minuscolo borgo di Civitella Alfedena, con i suoi trecento abitanti, che si raccoglie intorno alla torre del XIV secolo per arrivare a mostrare, al suo esterno, le tre navate della secentesca Chiesa di San Nicola.
Tre solitari e storici borghi che si sono abituati al nuovo paesaggio creato dal lago e che ora possono orgogliosamente mostrare ai visitatori non solo i loro antichi profili, ma persino la suggestiva visione di un bacino protetto, che a poco a poco è divenuto meta privilegiata di un’infinita varietà di uccelli acquatici. Sulle sue rive riposano, nidificano e vivono numerose specie, e durante l’inverno i grandi migratori come i cormorani, i fischioni, le alzavole o gli splendidi aironi cinerini divengono gli indiscussi protagonisti dello spettacolo della natura e della sua forza.

GASTRONOMIA: UN’OASI DI GENUINITA’
Se in tutta la regione Abruzzese l’alimentazione è cultura, storia, tradizione, molto più che semplice arte culinaria, a maggior ragione ritroviamo queste caratteristiche nei luoghi e nei paesi dello storico Parco. In quest’ oasi naturalistica sarà possibile immergersi in un universo di genuinità e in un mare di prodotti tipici strettamente legati ai ritmi della natura, gustando l’intensità di aromi semplici e saporiti, di alimenti e di pietanze tramandate per generazioni e preparate secondo antiche regole.
I salumi, i formaggi, le carni, il miele, lo zafferano (che cresce nella zona di piana Navelli ed è divenuto un simbolo della cura e della pazienza degli abruzzesi), i pregiati tartufi e soprattutto l’olio extravergine d’oliva “Aprutino Pescarese Dop”, sono da considerarsi “prodotti tipici della regione” perché rispecchiano l’incontaminata genuinità di questa terra da sempre protetta dagli uomini e dalla natura.
La palma di principale protagonista dei piatti della gastronomia abruzzese va riconosciuta senza dubbio alla carne di pecora o di agnello.
Gli “Arrosticini” ad esempio: spiedini di sola carne cotti alla brace e accompagnati da pane abbrustolito e olio, gustosissimi, almeno quanto la tradizionale “pecora alla callara” , che consiste in un saporitissimo spezzatino al sugo di pomodoro, ottenuto dalle carni di pecora prima bollite, per toglierne il grasso in eccesso, e poi soffritte in un trito di sapori.
Ma non è certo da dimenticare la produzione dei saporitissimi formaggi, fra i quali spicca il pecorino, che ne è la più tipica espressione. Frutto della pazienza dei pastori abruzzesi che, dopo averlo ricavato dal caglio del latte lo pongono a stagionare in canestrini di giunco, e da questa particolare lavorazione acquista sofisticati e ricchissimi aromi. Da non dimenticare poi le varianti di pecorino sott’olio e pecorino erborinato, che sono una vera prelibatezza da buongustai, ed infine, il famoso caciocavallo ed la caciotta abruzzese.
Un posto d’onore nella tradizione gastronomica spetta poi ai salumi, frutto del lavoro artigianale di piccole aziende a conduzione famigliare, che con l’ausilio del clima asciutto delle alte quote, sono in grado di offrire fragranze stagionate ed intense. Sottolineiamo allora le qualità della “Ventricina”, ottenuta da un trito di guanciale, spalla e sugna, con l’aggiunta di aromi rigorosamente naturali, tra cui il rosmarino che serve da particolare conservante.
E poi castagne, miele, dolci ed altre prelibatezze di montagna si possono gustare in ogni periodo dell’anno ed in ogni centro del Parco, sicuramente senza farsi mancare il piacere di sorseggiare un prestigioso vino d’Abruzzo. E se il “Montepulciano” è sicuramente la più importante Doc che la regione può vantare, e non solo per accompagnare perfettamente i sapidi formaggi, ma anche le ricette più raffinate e delicate, magari nella versione “Cerasuolo”, non sono certo di minor fama e qualità il rosso “Controguerra” (che è invece la Doc più giovane), che per il suo sapore asciutto e leggermente tannico si presta per accompagnare la degustazione di tutte le ricette più tipiche ed impegnative, o ancora il “Trebbiano d’Abruzzo”, che si affianca splendidamente alle carni di Vitellone bianco dell’Appennino, così come anche a tutte le pietanze delicate e soprattutto al pesce della Costa Adriatica.

 

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