Parco dello Stelvio
Parco dello Stelvio
Tra i comuni di Bormio, Livigno, Sondalo, Vadidentro, Valfurva e Valdisotto si estende un’area incantevole di nevi bianchissime e fiori che ondeggiano al ritmo del vento, nota come Parco Nazionale dello Stelvio,
forse meno conosciuta come nuovo regno del leggendario uccello grifone,
che da pochi anni ha deciso di rallegrare ancora con il suo lucido
e-così almeno narra la leggenda- magico piumaggio la zona del parco.
La leggenda racconta che in una notte senza luna, mentre gli alberi
ondeggiando al vento sembravano strumenti suonati da piccole dita
fatate, due fratelli si addentrarono in un bosco per prendere una penna
dell’uccello grifone, una piuma magica che sarebbe stata in grado di
guarire il loro papà malato. Ad un bivio si separarono, e solo il primo
fratello trovò l’uccello fatato e rubò la piuma. Preso da una invidia
accecante l’altro fratello lo uccise e lo seppellì, e guarì il padre con
il tocco della piuma. Alle domande del padre sul fratello questi
rispondeva che forse si era perduto, e che comunque non l’aveva più
visto.
Nel frattempo un pastore percorrendo il sentiero nel bosco in una
radiosa mattina di sole, e vide su un cumulo di terra una strana pianta a
forma di zufolo; una volta tra le sue labbra, dallo zufolo uscì una
canzone struggente. “suona suona pastore mio, mio fratello mi ha ammazzato, senza colpa senza ragion sol per la penna dell’uccel grifon”.
Nel suo cammino il pastore entrò in città, e suonando pensò di fare
qualche soldo. Sentendo la musica il padre dei fratelli chiamò in casa
il pastore e provò lui stesso lo strumento: ”Suona suona papà mio che mio fratello mi ha ammazzato senza colpa senza ragion sol per la penna dell’uccel grifon”.
Commosso, il padre comprese e corse nel bosco, dove l’uccello stava
facendo guardia a quella tomba improvvisata, la sfiorò con la penna e il
figlio ritornò in vita. Se non si vuole credere alla leggenda, si può
certamente fidarsi del fascino magnetico di questo raro volatile, che
tiene tanti escursionisti col naso all’insù alla ricerca delle sue
fattezze.
Rododendri e genzianelle punteggiano
con i loro colori intensi i prati verde brillante che lambiscono i
sentieri che conducono all’interno del parco, nel suo vero cuore tra
mille luoghi incantati, laghetti che si formarono in tempi lontanissimi
in conche lasciate in eredità da ghiacciai, specchi d’acqua in cui
ammirare un blu denso come quello del cielo, come i laghetti dello Scorluzzo,
nel versante lombardo dello Stelvio. Del resto i quasi 1500 chilometri
di sentieri che si snodano all’interno del parco abituano
l’escursionista ad incontri importanti, quali il ghiacciaio dei Forni e
la parete nord dell’Ortles, una conquista alpinistica relativamente
recente, basti pensare che nel secolo scorso i valligiani non si
avventuravano sulle cime nota dimora di streghe, credenza che lega tutte
le vette più alte del mondo, se si considera che anche l’Everest era ed
è considerato cima sacra e che i portatori generalmente si fermano
qualche metro prima della cima in segno di rispetto.
Un cacciatore coraggioso, Josef Pichler nel 1804 scalò
l’Ortles, tornando in valle così provato ed affaticato che nessuno gli
diede credito. Ripeté l’impresa accompagnato anche dal parroco di
Stelvio e prima di iniziare la discesa appiccò fuoco a un palo di pece,
che rendesse ben visibile dalla valle sottostante che nessuna strega con
il suo soffio incantato avrebbe potuto spegnere ciò che era appena
stato conquistato.
Gli alpinisti più esperti al seguito di abili guide possono oggi
compiere la traversata delle Tredici cime, ma il sentiero più
affascinante per il semplice escursionista è indubbiamente quello nella
misteriosa Val Zebrù, lunga valle in cui si trovano ad
intrecciare i loro balzi agili, fenomeno unico in Italia, camoscio,
cervo, stambecco e capriolo.
Ermellini dal grazioso musetto affilato fanno capolino, osservando non
visti gli escursionisti che si immergono in una natura che è fatta anche
di suoni e colori che non è possibile dimenticare. La montagna sembra
acuire i sensi, tesi come sono a percepire ogni minimo mutamento,
qualsiasi scintilla di una bellezza che si svela piano e con
discrezione, come la genziana maggiore che fu considerata per la prima
volta per le sue caratteristiche digestive da un re illirico.
Bisogna considerare che la maggior parte dei sentieri è stata tracciata
dagli alpini durante la guerra, che ha toccato anche queste cime,
lasciando tracce ancora visibili, avvicinando anche uomini
particolarmente sensibili alla bellezza di questi luoghi. Proprio un
alpino, ex ufficiale propose l’istituzione del parco, Guido Bertarelli,
contribuendo a costituire una delle maggiori aree protette italiane,
anche se prima della messa in atto del progetto, si fece in tempo a
vedere sparire l’agile lince insieme a numerose altre specie.
La presenza dell’uomo ha però perlopiù cercato di rispettare la montagna
con la quale si trova a convivere, armonizzando ripari per gli animali
in pietra con la natura circostante, punteggiando di gradevoli baite
dentro alle quali d’Inverno è piacevole immaginare un bel fuoco
scoppiettante dentro ad un camino di pietra, perché non bisogna
dimenticare che il termine “baita”deriva dall’arabo e significa casa.
Il fascino di una storia secolare permea di suggestione infinita ogni
singolo mattone delle oggi diroccate Torri di Fraele, sentinelle che
sorvegliavano un’antica via di comunicazione e di commerci che
attraversava il parco, tra voci di persone e scalpiccio di cavalli
carichi.
L’Adda, il Frodolfo e l’Oglio sono
i corsi d’acqua che irrigano la regione, snodandosi azzurri e
tranquilli in alcuni tratti, turbinosi e scroscianti in altri, ed hanno
inciso, secondo l’antico proverbio latino secondo cui la goccia scava la
pietra, valli e versanti, formando i cosiddetti conoidi di deiezione,
depositi di detriti glaciali a forma di cono, spettacolo affascinante e
memorabile. Verso il mar Nero curiosamente porta le sue acque lo Spol,
data l’appartenenza della zona al bacino del Danubio.
Di sicuro fascino l’itinerario del ghiacciaio dei Forni, crogiolo di testimonianze di vita del ghiacciaio più vasto dell’arco alpino, senza dimenticare l’escursione che porta ai laghi Lungo, Nero e Marmotta, mentre un sentiero in Val di Pejo conduce alla sorprendente chiesa affrescata di Cogolo.
Tra le vie acciottolate del borgo antico di Bormio,
attraversando strade strette tra i muri in pietra delle case antiche
dove ogni passo risuona nel silenzio, si raggiunge l’interessante
giardino botanico Rezia, ennesima testimonianza di una
natura che non smette mai per un solo istante, di avvolgere con il suo
fascino arcano eppure sempre attuale.
Le stagioni del Parco
Non teme le stagioni questo parco suggestivo che in ogni periodo
dell’anno offre il meglio di sé con grande naturalezza. Terra di
campioni di sci, formatisi negli anni della guerra in seno a note
famiglie della zona, quali i Sertorelli e i Compagnoni, la Valtellina presenta
un comprensorio sciistico vario ed interessante anche dal punto di
vista paesaggistico, che offre la possibilità di solcare le piste di Livigno, Bormio e San Colombano, per non dimenticare Santa Caterina Valfurva
e la possibilità di sciare anche nella adiacente Svizzera, per esempio
in Engadina o Sant Moritz, mentre gli appassionati di snowboard
troveranno a Livigno la patria del free style. Anche il Telemark,
specialità riscoperta di recente trova durante la Skieda, settimana
dedicata a questa disciplina, istruttori ed iniziative entusiasmanti.
Nome tipico anche per la tradizionale Sgambeda, maratona internazionale
di fondo.
E per chi dello sci non può fare a meno neanche d’Estate, c’e lo Stelvio con quella che meritatamente è chiamata “università dello sci”.
Bormio è nota dall’antichità per le sue acque termali che nascono dalla
roccia a 40 gradi. Le sue terme sono dotate di piscina natatoria.
Passeggiate a cavallo, escursioni a piedi, tiro con l’arco ma anche golf
sono attività praticabili insieme allo sci estivo nella stagione calda.
Gastronomia
La zona del parco produce formaggi celebri in tutta Italia per sapore e
consistenza, risultato dell’ottimo latte, come il Bitto DOP
caratteristico soprattutto del versante orobico della Valtellina miscela
di latte caprino e vaccino alla quale deve il suo prezioso sapore
corposo.
Notevole è un “cugino” del Bitto, il Valtellina Casera DOP
di pasta piuttosto elastica caratterizzato da un colore che varia anche
se è prevalentemente bianco, mentre il sapore diventa particolarmente
deciso con l’invecchiamento.
I salumi vantano l’ottima IGP Bresaola, tipica della Val Chiavenna e della Valtellina, stagionata per circa un mese, presente anche nella variante equina.
La natura offre il meglio della sua produzione nelle succose mele, in varietà “Stark” o “Golden Delicious”.
Ingrediente sovrano nella preparazione del tipico primo piatto dei Pizzoccheri,
tagliatelle corte condite con verdure e patate è il grano saraceno,
tipicamente valtellinese, il quale compone anche la polenta fritta nello
strutto che costituisce la tradizionale e saporitissima focaccia
valtellinese detta Cicc, o le Sciatt, frittelle di grano semplici e dal
gusto delicato.
Ottimi gli amari che vengono prodotti in alcuni casi con erbe tipiche delle montagne, come l’ormai celebre amaro Braulio composto da erbe alpine accuratamente selezionate, e che porta il nome dello Stelvio nel dialetto della zona.