Foreste Casentinesi
Foreste Casentinesi
Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi: “Un Mare in Tempesta”.
Dunque alberi! Nobili e storiche foreste fino a dove si perde lo
sguardo, un manto continuo a volte sconcertante, denso, verdissimo in
estate, dai mille colori in autunno, candido d’inverno; un mare verde di
boschi così fitti da nascondere il bramire di un cervo o l’ululato di
un lupo; ritti tronchi che si distendono per 36.426 ettari sul crinale
dell’Appennino tosco-emiliano, innalzandosi sulle pendici del Monte Falterona e del Monte Falco,
coprendo altipiani e vallate, anfratti e gole, unendo in un unico cuore
naturalisticamente selvaggio tre storiche regioni italiane: la Romagna, il Casentino ed il Mugello.
Fra foreste secolari di abeti bianchi, giganteschi faggi colonnari, e
poi, più in basso, olmi, frassini, aceri, tassi, agrifogli e ciliegi
selvatici che proteggono un foltissimo sottobosco, si addentrano
centinaia di ruscelli e torrenti che disegnano piccole e nascoste
cascate, ugualmente suggestive anche di fronte all’imponenza di quelle
dell’Acquacheta di dantesca memoria e il loro vertiginoso salto di 70
metri. I piccoli corsi d’acqua si trasformano poi in fiumi o si donano
al Lago di Ridracoli, vero specchio di luce tra le
foreste, che offre la possibilità di suggestive escursioni in barca e,
con la sua diga, disseta l’intera Romagna, oppure continuano la loro
corsa rapida animando di suoni, di colori e di rigogliosa vita tutto il
Parco.
Due riserve integrali proteggono zone in cui l’uomo non è mai entrato e mai entrerà: nella prima, quella di Sasso Fratino,
la selva assume un profilo fiabesco e mitologico: è l’istinto
primordiale della natura che segue indisturbata il suo corso. Nella
seconda, la Riserva della Pietra, porzione dell’antica Foresta Granducale di Toscana
(che fornì legno agli arsenali di Livorno e Pisa e alla costruzione del
Duomo di Firenze), le rocce e i dirupi ospitano numerose indisturbate
creature del bosco, animali selvatici come il lupo, splendido predatore
che proprio qui trova il suo territorio ideale.
E poi, il cervo rosso, i caprioli, il raro muflone e i daini, che
abitano in quasi tutto il territorio del Parco, pronti a farsi
riconoscere da occhi attenti e rispettosi; e ancora, il cinghiale che si
nasconde fra il fitto delle felci del sottobosco; l’aquila reale, vanto
del Parco, che volteggia maestosa nell’attesa di piombare sulle sue
vittime, e altri piccoli mammiferi o predatori, come la volpe e la
faina, o roditori, come lo scoiattolo, che popolano ogni anfratto dei
boschi confondendo i propri suoni con la continua musica del canto degli
uccelli. Pettirossi, scriccioli, bottacci, rampichini alpestri e
tordelle rallegrano le folte e secolari fronde, mentre sparvieri,
gheppi, falchi pecchiaioli dominano le cime dirupate.
Da sempre chi visita le terre del Parco rimane stupito e incantato: è il caso ad esempio di Sir Richard Colt Hore, che nel 1791, dopo aver raggiunto Poggio alla Scala, balcone panoramico sull’Appennino, non poté fare a meno di esclamare “...di
qui la veduta è stupefacente, per quanto la veduta consente di
spaziare. Da una parte l’occhio scorre sulle terre di Romagna e lungo un
tratto della costa adriatica, dall’altro spazia sul Casentino e quasi
sull’intero territorio della Toscana...”.
Come dimenticare allora altre voci ineguagliabilmente illustri come
quella di Ludovico Ariosto, che celebrò questi paesaggi, o di Dante, che
qui rifugiatosi durante il suo esilio da Firenze, non poté fare a meno
di cantare la bellezza di queste foreste?
E ancora si devono menzionare uomini di profonda fede e spiritualità
come San Francesco, che si ritirò nella mistica del santuario
spettacolarmente strapiombante de La Verna per ricevere le stimmate e
pregare in un’atmosfera “di una bellezza profonda e quasi soprannaturale”.
O San Romualdo, al quale viene attribuita la fondazione dell’eremo di
Camaldoli nel 1012, primo nucleo di quello che divenne uno splendido
monastero medioevale con il muro perimetrale “di mille abeti mille volte cinto”,
e che, ancora oggi, viene considerato punto di riferimento religioso
d’importanza internazionale. Da Camaldoli, infatti, se si dipartono
numerosi sentieri-natura attraverso il Parco, prendono avvio soprattutto
pellegrinaggi e percorsi religiosi che guidano ai luoghi sacri della
congregazione camaldolese, oltre agli importanti convegni e incontri
religiosi, che da sempre per tradizione vi si svolgono.
Mai come in questo caso, un Parco Nazionale acquista dunque forza e
pregio dagli storici segni impressi nel suo paesaggio dall’uomo:
mulattiere, chiese e villaggi, tratturi e resti di antichi laboratori
del legno o della pietra narrano una storia silenziosa ed antica. Sono
gioielli rubati alla rovina del tempo dalla paziente e meticolosa opera
di conservazione promossa dall’Ente Parco nei brevi anni della sua
intensa e recente attività. Percorsi guidati, facili da intraprendere e
divisi per tematiche differenti, si possono imboccare partendo da
ciascuno degli splendidi paesini intorno al periplo del Parco alla
ricerca di avventura o solamente di relax, per conoscere, oltre alla
forza della natura anche il coraggio dell’uomo.
In queste piccole contrade che circondano la riserva è quasi d’obbligo
sostare, poiché vi si possono trovare alloggi per tutte le esigenze,
qualità di ambienti ed una eccezionale ospitalità degli abitanti; vi si
possono riscoprire attività, paesaggi e sogni per tutte le stagioni,
approfittare dei piaceri della buona cucina e ammirare le meraviglie
dell’artigianato locale, oppure riposarsi immergendosi nelle acque
termali di Bagno di Romagna, il centro più importante della Valle del Savio.
Il suo antico nome di origine latina (Balneum) testimonia la secolare
fama delle sue acque curative, ora accresciuta dai numerosi edifici
storici del suo centro, fra i quali si distinguono la Basilica di Santa Maria Assunta di origine romana e i Palazzi della Via Fiorentina, con quello del Capitano in cima a tutti.
Lasciata Bagno di Romagna si raggiunge la suggestiva Valle di Pietrapazza e Poggio alla Lastra, l’accogliente borgo di Acquapartita e tutta la Foresta della Lama, uno dei punti naturalistici di eccellenza del parco. Nell’alta Valle dei Rabbi, incontriamo il piccolo centro di Premilcuore che
conserva ancora il suo aspetto medioevale con i resti della Rocca, la
Porta Fiorentina, il Palazzo Briccolani, l’Oratorio di San Lorenzo. Da
non perdere fra i suoi dintorni, il minuscolo borgo di Fiumicello.
Sede della Comunità del Parco, Santa Sofia è invece un importante centro della Valle del Bidente,
che nella Chiesa di Santa Lucia e nel Palazzo Giorgi offre degli
incantevoli esempi del valore storico architettonico del suo centro
urbano. E poi ancora Chiusi della Verna, che nel suo
famoso santuario conserva opere di Mattia dalla Robbia e vanta la
presenza di preziosi gioelli d’arte religiosa, come la Chiesa di Santa
Maria degli Angeli, la Chiesa delle Stimmate, la Basilica, il Museo del
Santuario, il convento e il Sasso Spicco; il tutto immerso in uno
scenario naturale aspro e selvaggio, rigoglioso e indimenticabile.
Oppure Londa, con il suo limpido lago ed i dintorni che conservano i
resti e le testimonianze di una storia etrusca, o Poppi con
la Biblioteca Riulliana ed i preziosi incunaboli e manoscritti, o
ancora Stia e la Pieve di Santa Maria Assunta, Tredozio, San Godenzo e
Portico-San Benedetto, con il Palazzo del Podestà e il ponte della
Maestà.
Un infinito elenco di tesori artistici, religiosi e storici, testimoni
di vicende lontanissime o lontane, vestigia del passato affascinanti
quanto sorprendenti si fondono con un paesaggio magico e fiabesco che le
nostre parole non sono in grado di descrivere. Lasciamo allora che sia
il canto di un anonimo del secolo scorso ad accompagnarci nel nostro
viaggio immaginario o chissà, ... reale.. fra i sentieri delle Foreste
Casentinesi: “..E’ un succedersi interminato di valli e monti: è
come un mare in tempesta le cui onde si siano per incanto solidificate: è
tutto un cozzare di luci e di ombre; tutto un rimescolio di creste
dirupate e biancastre, di fianchi ora nudi e dilavati, ora tinti di
pallido verde dei prati, ora di quello più forte delle boscaglie di
faggi, ora di quello più cupo degli abeti...”
Sapori e profumi
Nelle terre del Parco si mangia come vogliono le terre di Romagna e di
Toscana, si assapora il meglio delle colline e dei monti, dei prodotti
naturali cucinati come comandano le antiche tradizioni che si fondono
lungo questo confine. I funghi, i tartufi, la cacciagione, le paste, i
tortelli fatti in diversi modi, i formaggi, i vini del versante
adriatico e di quello tirrenico che vantano nomi illustri come il “Brunello di Montalcino Doc” oppure il nobile “Montepulciano Docg”.
Qui, in questo territorio tutto si incontra, tutto si fonde in una
cucina che da un’origine forte e povera ha fatto nascere una gastronomia
estremamente ricca.
Se si parla di prodotti tipici, il più pregiato del versante romagnolo è
sicuramente quel tartufo che, nelle varietà del Fiorone, del
pregiatissimo e raro tartufo bianco e di quello nero, più comune, viene
pazientemente ricercato dai contadini della Valle del Bidente, e poi
“solennemente” celebrato nella famosissima sagra che ogni anno a
ottobre, richiama a Cusercoli turisti, commercianti, ristoratori e
soprattutto buongustai.
Ma, sebbene il centro dell’attrazione siano indiscutibilmente il tartufo
e la “trifola” (tartufo trifolato), un caleidoscopico contorno di
prodotti tipici rende vivace la fiera e gli stand gastronomici rendono
onore alla cucina locale con crostini, tagliatelle, polenta e
panzerotti.
Altri ancora sono comunque i prodotti di collina festeggiati con varie
iniziative: ad esempio i kiwi, i piselli e le lodate ciliegie di
Civitella, e soprattutto i vigneti con gli splendidi vini che da essi
provengono. Le valli del Ronco Bidente, del Rabbi e del Montone (nella
zona del Forlivese), e la vallata del Savio (nel Cesenate), annoverano
una serie di rinomatissimi vini dal profumo inebriante e dal sapore
caldo come il “Sangiovese Doc” di Predappio, o il più amabile “Albana Doc”
a Bertinoro, a conferma della magica vocazione enoproduttiva della
zona. Altre Doc d’autore siglano poi queste generose zone collinari,
offrendo la possibilità di sorseggiare il “Pagadebit”, il “Cagnina”, il “Negretto” il “Trebbiano” il “Moscato”, il “Montepulciano”, il “Barbera” , il “Ciliegiolo”
e tante altre denominazioni che, fra bianchi freschi e sapidi e rossi
odorosi e tannici, consentono di accompagnare sempre e nella maniera più
adatta le gustose pietanze della tradizione gastronomica locale.
Dopo aver parlato dei prodotti della natura e della cura dell’uomo,
parliamo dunque di quelli della fantasia culinaria. Anche nei paesi ai
confini del Parco si possono assaggiare le tipiche ricette della
tradizione gastronomica del resto della regione, ma con qualche piccola
variante: si possono sempre gustare una piadina, magari con un po’ più
di strutto e di lardo battuto, o i crescioni, con ripieno di erbe e
fritti nello strutto, che anche qui sono di casa. Sono ben presenti poi i
celeberrimi cappelletti, le tagliatelle, gli gnocchi di patate, i
passatelli e “tortelli ripieni di erbe e ricotta”. Una variazione tipicamente autoctona delle paste ripiene è invece la cosiddetta “Spoia lorda” (Sfoglia sporca), ossia uniformemente coperta di ricotta, squaquarone, noce moscata, buccia di limone; o, ancora, i “Manfrigoli”
di Santa Sofia, ossia una pietanza tradizionale a base di polenta di
granturco, mischiata a castagne bollite e fagioli cotti, lasciata
rapprendere, raffreddare e poi fritta nello strutto.
Le carni tipiche delle vallate sono gli umidi, ma non si possono certo
evitare i classici arrosti, assieme alle numerose ricette che,
specialmente attorno alle riserve, vedono finire in padella fagiani,
pernici, starne, ma anche beccacce, tordi e colombacci, oltre a varie
specie acquatiche che vivono un po’ dovunque. Il coniglio, la “lepre in salmì”,
il cinghiale chiudono la parata della cacciagione di montagna e aprono
le porte all’enorme varietà di prodotti e piatti ricavati dalle
succulente carni di maiale. Una fiorente industria di insaccati produce
infatti, salami squisiti, prosciutti dal gusto forte e stagionato, coppe
profumate, cotechini, coppe di testa e pancette.
Fra i formaggi non si possono certo dimenticare l’ormai famosissimo formaggio di fossa di Sogliano,
o quello di grotta prodotto a Predappio Alta, una specie di pecorino
lasciato stagionare in ambiente solforoso per donargli gusti
inconfondibili. Parlando di pecorini, poi, non si può dimenticare che
anche il versante toscano del Parco non è certo da meno; spicca fra il
ricettario dei cuochi tirrenici la sfiziosa e semplice ricetta del “pecorino caldo con olio extravergine”, cotto al forno, e poi salato e pepato.
A condire tutte queste delizie, infatti, ci pensano o l’olio delle
colline romagnole di precoce maturazione, o il simile, ma più fruttato
olio toscano che, se accompagnato ad una fetta di pane di Altopascio,
abbrustolito in gratella, dà origine alla famosa e speciale “fettunta”, ideale sia come antipasto che come companatico.
E i dolci?
Oltre al “savòr”, una sorta di marmellata che sposa il gusto della frutta all’aroma del vino, e al “bustrengo”,
o dolce dei poveri, con farina di grano e di polenta, latte, pane
grattugiato, uova, strutto, zucchero, limone, uva sultanina, arance
vaniglia e altri ingredienti segreti, la creatività in cucina, o magari
la necessità, ha inventato le deliziose pagnotte pasquali, pane dolce
con uvetta e anice, le “castagnole”, le “frappe”, l’immancabile zuppa inglese, le ciambelle i biscotti e infine, ma non certo da ultimo, il “porcospino”, un dolce di zucchero e burro con un’anima di biscotti bagnati nel caffè e un dorso irto di mandorle.