Anoressia
Il perché dell'Anoressia
Delle malattie del benessere, i disturbi alimentari sono certamente i
più rappresentativi. Quando la cosa più naturale del mondo diventa un
problema, bisogna correre ai ripari il più presto possibile, per cercare
di arginare il fenomeno prima che diventi irreversibile con effetti
devastanti, talora anche mortali.
Il progressivo benessere conquistato nell’ultimo secolo ha consentito
certamente un netto miglioramento delle condizioni di vita. Questo in
particolare si è tradotto in un’abbondanza di alimenti a disposizione di
ognuno di noi che mai si era vista prima d’ora. Ogni giorno non abbiamo
che da sbizzarrirci nella scelta delle pietanze più gustose e che
meglio soddisfano il nostro palato, tanto che le malattie emergenti e
più diffuse, al punto di parlare di vere e proprie pandemie, sono quelle
legate al benessere: obesità e malattie cardiocircolatorie in testa. A
nessuno verrebbe quindi in mente di pensare che ci possano essere
persone gravemente denutrite o che addirittura muoiono di fame, eppure…
Anche ai giorni nostri, nel nostro Paese, c’è chi di fame muore ancora.
Stiamo parlando di quelle persone, in maggioranza donne, che hanno
problemi gravi nell’alimentazione, al punto di lasciarsi morire di fame
nel tentativo estremo di diventare sempre più magre. L’anoressia e la
bulimia sono infatti i disturbi dell’alimentazione più gravi e difficili
da curare, poiché essendo di origine nervosa, non esiste medicina
davvero efficace, se non la forza di volontà. Cerchiamo quindi di capire
da cosa si originano questi disturbi e cosa possiamo fare per poterli
combattere prima che i loro effetti diventino irreversibili e
devastanti.
I tre punti distintivi
Iniziamo allora con il problema più importante: come riconoscere l’anoressico?
Secondo il DSM IV, il manuale Diagnostico e Statistico per i disturbi
mentali, riconosciuto a livello internazionale per la classificazione
delle malattie mentali, l’anoressia nervosa si può riconoscere per tre
caratteristiche fondamentali. Il soggetto infatti si ostina nel voler
mantenere il proprio peso corporeo almeno il 25% al di sotto del peso
forma, con sforzi decisamente notevoli e assolutamente autoimposti.
Questo primo punto distingue l’anoressia nervosa da quella provocata da
malattie: nel primo caso, infatti, l’eccessiva magrezza è totalmente
volontaria. Gli anoressici inoltre hanno una vera e propria fobia di
ingrassare, tanto da considerare anche un aumento di pochi etti come un
vero e proprio dramma. Chi ne soffre inoltre, non si preoccupa
minimamente del fatto che l’essere sottopeso, a volte in maniera
drammatica, posso comportare conseguenze sulla salute. Tutta
l’attenzione è concentrata sul grasso corporeo e sulla sua
distribuzione, al punto che tutta l'esistenza e il comportamento del
soggetto ne vengono pesantemente influenzati. Per cui l'umore,
l'autostima dipendono direttamente dal peso.
L’ultimo tratto distintivo dell’anoressia, nelle donne (che sono anche
le più colpite) è l’assenza di almeno 3 cicli mestruali consecutivi
legati all’eccessiva magrezza. Questo è dovuto al fatto che una donna,
per poter procreare, deve avere una certa percentuale di grasso, così da
poter affrontare una eventuale gravidanza. In caso contrario si
determina il blocco del ciclo mestruale e quindi l'inabilità fisiologica
a procreare.
Non solo rifiuto del cibo
L’anoressia, inoltre, si può distinguere in due tipologie: quella in cui
chi ne è colpito rifiuta il cibo in tutto o in parte, facendo magari
molta attività fisica col preciso scopo di bruciare calorie e chi invece
si concede delle grandi abbuffate, salvo poi provocarsi il vomito e impiegare
lassativi e diuretici. Sia che si tratti del primo caso che del
secondo, l’obiettivo principale per l’anoressico è dimagrire, ed è
talmente assorbito da questo pensiero da eliminare completamente tutto
il resto, scuola, amici e famiglia. Comunicare con lui è dunque
un’impresa disperata e non c’è verso di fargli capire qual’è il proprio
stato di salute. Questa situazione è talmente mortificante per la
famiglia, che spesso i suoi membri necessitano di un supporto
psicologico, quando addirittura non si ammalano essi stessi a causa del
troppo stress.
Il comportamento di una persona anoressica segue degli schemi abbastanza
lineari: il cibo e il proprio peso diventano il fulcro dell’esistenza,
ma più ci si mette a dieta, maggiore diventa il desiderio di cibo, tanto
che i malati non fanno altro che immaginare di mangiare e a volte si
accontentano di operare un transfert e cucinano per i proprio familiari
le pietanze che vorrebbero per se stessi, accontentandosi di vederle
mangiare da loro.
Quale atteggiamento è corretto allora tenere nei confronti di queste persone?
Come comportarsi?
La cosa sicuramente più sbagliata è cercare di farli ragionare. Bisogna
cercare di aiutarli a guardarsi dentro e a capire quale sia il motivo di
un disagio così profondo che viene manifestato in maniera molto dura
verso il proprio corpo. A nulla servono i ragionamenti circa il fatto
che il loro peso è troppo esiguo, serve anzi a peggiorare le cose. Con
una persona anoressica, sarebbe paradossalmente più utile evitare
qualsiasi discorso su cibo, alimentazione e peso corporeo.
Il comportamento di una persona con questo disturbo è abbastanza tipico:
tutta la sua vita ruota attorno al proprio peso. Se riceve un
complimento, se ottiene un successo, la persona anoressica lo imputerà
esclusivamente al proprio corpo e alla magrezza; viceversa, una
delusione o una critica la spingeranno a sentirsi brutta, grassa e a
dimagrire ulteriormente. Solitamente queste persone hanno un’attenzione
maniacale alla quantità e alla tipologia di cibo ingerito, sono esperti
conoscitori di ricette e calorie e arrivano ad essere maniacali in
alcuni atteggiamenti, come il fatto di pretendere che la disposizione
delle stoviglie in tavola sia sempre la stessa. Mangiano lentamente per
saziarsi di più, e durante gli intervalli tra un pasto e l’altro
consumano bevande calde, in modo da placare il senso di fame.
Generalmente i rapporti sociali sono molto penalizzati, poiché esiste il
rischio di dover mangiare in compagnia ed essere quindi criticati per
via dell’eccessiva magrezza o per il fatto di mangiare troppo poco.
Solitamente gli anoressici si nascondono sotto vestiti larghi e si
isolano sempre più dal resto del mondo, onde evitare a chi gli sta
vicino di accorgersi del proprio problema e continuare così a dimagrire
indisturbati. Arrivano persino a gettare il cibo di nascosto, in modo da
far credere di avere mangiato, quando non vomitano subito dopo il
pasto.
Oltre questo limite, la strada è tutta in discesa e, in alcuni casi, si
arriva persino alla morte. In questi casi, nei mesi che precedono
l’evento infausto, l’ossessione per il cibo scompare e al suo posto si
presenta una profonda depressione, accompagnata da una marcata astenia.
Le capacità logiche e critiche sono compromesse a tal punto che i malati
non si rendono più conto delle loro condizioni e si alimentano solo se
costretti.
Le tre fasi dell’anoressia
L’anoressia si può suddividere in tre fasi. Durante la prima le
restrizioni alimentari a cui si sottopongono i malati vengono elogiate
dalla famiglia ed il senso di gratificazione è talmente alto da
spingerli ad aumentarle sempre più. In un secondo momento allo stress
iniziale per le restrizioni si sostituisce un senso di energia e
benessere. Questo fatto è perfettamente fisiologico e trova spiegazione
nel naturale istinto di sopravvivenza: un animale a digiuno deve avere
energia sufficiente per potersi procurare il cibo. L’organismo risponde
quindi “caricandosi”.
La seconda fase si manifesta con la fine dello stato di benessere, a cui
subentrano nervosismo, depressione e ansia, affiancati dalla sempre
maggiore preoccupazione dei familiari, che a questo punto diventano
d’intralcio al malato, perché iniziano a fargli notare che le cose non
vanno bene. I pensieri si orientano sempre più al cibo, che diventa una
vera e propria ossessione,. Anche questo fa parte dell’istinto di
sopravvivenza: il nostro organismo fa in modo che il nostro obiettivo
principale sia di procurarsi il cibo. Tale desiderio è così intenso che
la persona diviene addirittura ipersensibile agli odori e a tutti gli
stimoli sensoriali che riguardino il cibo.
Tutta questa situazione si aggrava notevolmente nella terza fase, nella
quale il pensiero preponderante è il cibo, tanto da rendere
assolutamente secondaria qualsiasi altra attività. I voti a scuola
peggiorano e i rapporti sociali diventano sempre più difficili. Vengono
compromesse la concentrazione, la memoria e la capacità di giudizio
critico. Di pari passo si accentua l’ossessione verso la perdita di peso
e l’attività fisica viene notevolmente incrementata.
Noi e loro
Da quanto detto finora, appare evidente che tanto più tempestivamente si
interviene, maggiori saranno le probabilità di guarigione: dalla
secondo fase in avanti, infatti, la capacità di discernimento diminuisce
sempre più, e risulta quindi estremamente difficile convincere i malati
a sottoporsi a qualunque tipo di terapia.
Per dar loro una mano, bisogna innanzitutto tenere presente che
l’anoressia è un grave disturbo che può avere le sue origini
nell’infanzia. Spesso inoltre vi è una sorta di “periodo di
incubazione”, in cui non si bada ancora al dimagrimento, ma l’individuo è
eccessivamente preoccupato di eccellere in qualsiasi campo, sia esso
scolastico o lavorativo, sottraendo così gran parte del tempo alla vita
sociale. Questi sono campanelli d’allarme che dovrebbero spingere i
genitori ad approfondire la situazione, perché presa a questo stadio,
l’anoressia è certamente più semplice da combattere.
La prima cosa da fare è informarsi correttamente ed è caldamente
consigliato che lo facciano entrambi, famiglia e malato, in modo da
sradicare sul nascere false convinzioni e affrontare il problema nel
giusto modo. Molto utili a questo proposito si rivelano i gruppi di
incontro, specie per i genitori, poiché col confronto diretto ci si
rende meglio conto di quanto sta avvenendo e soprattutto ci si sente
meno soli. Questo è tanto più vero nel caso in cui l’anoressico rifiuti
il suo status.
Il terapeuta
Il passo successivo, se la persona in questione è disposta a farlo, è
fissare un appuntamento con un terapeuta, passando magari prima dal
proprio medico di base (ricordiamoci che oltre al sistema nervoso,
l’anoressia comporta anche problemi di denutrizione) che certamente
potrà indicarci la persona che fa al caso nostro. Di norma il primo
incontro avviene comunque con un medico, poiché raramente le persone
colpite si rendono conto di avere un problema a livello psicologico.
Se si riesce a convincere la paziente ad accettare l’intervento dello
specialista, si è fatto sicuramente un gran passo in avanti, anche se
spesso la strada per la guarigione può essere lunga e a volte costellata
da drammatici ricoveri ospedalieri d’urgenza
Fortunatamente però non per tutti è così: per molti la guarigione è più
rapida e lineare e il risultato è tanto migliore quanto più approfondito
è stato il lavoro fatto sin dall’inizio per motivare il paziente.
Inoltre, non ci si deve accontentare di un semplice sì, ma bisogna
lavorare anche per mesi, in modo da costruire una volontà reale di
guarigione. Una volta fatto questo, è opportuno rinforzare la
motivazione, magari proponendo alla persona di metterle per iscritto. A
questo punto sarà possibile un concreto intervento terapeutico, magari
facendo sottoscrivere al paziente un vero e proprio contratto, nel quale
si impegna a combattere l’anoressia. Nel contratto bisogno stabilire la
durata della terapia, il numero di incontri, in quali casi il
trattamento andrà interrotto o sospeso (ad esempio la mancata
partecipazione alla sedute) e le tappe da raggiungere per conseguire la
meta finale.
Nel frattempo i familiari devono fare il possibile per agevolare la
persona durante la terapia. Questo si traduce in primo luogo nel non
avere in nessun modo atteggiamenti a loro volta ossessivi nei confronti
del cibo. Non si devono quindi acquistare alimenti particolarmente
stuzzicanti solo per stimolare la persona a mangiare, così come nessuno
deve essere forzato o limitato nel cibo. La cosa più importante è che la
responsabilità per tutto quello che riguarda il cibo deve essere
esclusivamente della persona anoressica e la famiglia non deve in nessun
modo interferire in questo. Solo lo psicoterapeuta è autorizzato e dire
la sua.
Aiutare chi soffra in qualche modo di dipendenze (e paradossalmente, gli
anoressici hanno una dipendenza dal dimagrimento esattamente come gli
alcolisti dall’alcol) non è facile, ma anzi risulta spesso un’operazione
dolorosa e difficile, tale da dover richiedere spesso un sostegno per i
familiari di queste persone. E’ importante capire bene quali
atteggiamenti adottare nei loro confronti e quali invece siano i più
sbagliati. Per fare questo è indispensabile contattare uno specialista,
che sappia dare i giusti consigli e indirizzare verso le persone più
competenti, poiché mai come in questo caso non è possibile farcela da
soli.
Qualche consiglio per i familiari
I campi su cui i parenti devono intervenire sono numerosi e per questo
vale la pena di dare qualche indicazione di massima su quelli più
importanti.
Il cibo
• Non acquistare cibo particolare per indurre la figlia a mangiare;
• ciascun membro della famiglia decide autonomamente cosa mangiare;
• nessuno deve essere forzato o limitato a mangiare qualcosa;
• non trasformare i pasti in un campo di battaglia;
• la persona con disturbo alimentare è responsabile del suo comportamento;
• se la figlia non mangia, delegare il problema al terapeuta e al nutrizionista della figlia;
• lasciare che sia la figlia a decidere che cosa mangiare;
• non controllare il peso, che cosa mangia, se si abbuffa...;
• non cadere nella trappola di nascondere il cibo se presenta comportamenti bulimici.
Comunicazione
• Non dare consigli e suggerimenti;
• non anticipare i bisogni dell'altro: domandare è più sicuro;
• non offendere e attaccare la figlia;
• non dire che è bugiarda (fa parte della malattia);
• non crearle sensi di colpa ("Mi ucciderai se...");
• non violarne la privacy;
• rispettare i ruoli all'interno della famiglia (non trattare la figlia come un'amica);
• non leggere il suo diario, non rispondere al telefono per la figlia;
• non prendere decisioni al suo posto
Aspetto fisico
• Non fare commenti sul peso e sull'aspetto fisico: cambiare discorso e spostarlo su argomenti più importanti;
• non scegliere i vestiti al posto della figlia
Comportamenti da tenere
• Essere franchi e sinceri, non nascondere niente, nemmeno le comunicazioni con il terapeuta;
• dare fiducia alla ragazza ed evitare di accusarla e rimproverarla per ogni cosa;
• favorire la sua autonomia: deve decidere della sua vita (lavoro, fidanzati, tempo libero);
• parlare d'altro che non sia cibo;
• rispettare i confini generazionali (una figlia non è un'amica);
• fare i genitori: porre regole chiare e non equivoche;
• non entrare nelle questioni personali fornendo consigli e suggerimenti.