Omega 3

Gli integratori di omega 3 servono davvero?
Secondo i primi dati di uno studio decennale sembrerebbe di no


Sono passati quasi novant’anni dalle prime indicazioni, e soprattutto da allora sono stati pubblicati oltre 20.000 studi, ma il risultato finale ancora non c’è. O, per meglio dire, è sempre più chiaro che tutti gli effetti benefici attribuiti agli acidi grassi omega 3 – da quelli su cuore, vasi sanguigni e cervello a quello sul cancro, passando per la sfera gravidanza-allattamento, l’umore, l’obesità e quant’altro – sono solo frutto di abilissime campagne di marketing, perché di scientificamente provato non c’è di fatto quasi nulla.L’unica esclusione riguarda l’indicazione di un loro potenziale effetto benefico nelle persone che  non mangiano pesce o ne mangiano troppo poco, e presentano quindi uno stato carenziale.

A fare il punto, rimandando al podcast di una trasmissione su Gastropod nella quale si può ascoltare (in inglese) l’opinione di uno dei massimi esperti dell’argomento, Paul Greenberg, che a esso ha dedicato diversi libri proprio per sfatare le leggende, è l’Atlantic, che intervista anche JoAnn Manson, epidemiologa di Harvard.
Manson ha dato il via, nel 2010, a VITAL (), il primo studio di grandi proporzioni, randomizzato e controllato, per determinare se un supplemento basato sulla vitamina D (altra grande protagonista degli ultimi anni) o sugli omega 3 abbia influenza sulla salute cardiovascolare e sul rischio oncologico, ovvero negli ambiti principali nei quali vengono vantate le qualità di entrambi. Dopo poco meno di un decennio (questo tipo di studi, per essere affidabile, richiede sempre molti anni di osservazione), l’esperta ha pubblicato, nei mesi scorsi, i primi dati che non sorprendono affatto. Secondo quanto osservato,  l’assunzione di omega 3 non ha alcuna influenza sul rischio di ictus, né su quello di sviluppare un tumore della mammella, della prostata o del colon retto né sui decessi associati al cancro, o sulla mortalità in generale. Al contrario, si nota un piccolo aumento di tumori, non statisticamente significativo.


L’unico beneficio
 sembra essere quello associato ai cosiddetti eventi cardiaci maggiori quali, per esempio, gli infarti. In quel caso, si vede una riduzione del 28% del rischio di attacchi cardiaci e del 50% delle forme più gravi, così come una riduzione degli interventi di angioplastica del 22%, soprattutto in coloro che consumano una porzione e mezza di pesce alla settimana o meno, considerati scarsi mangiatori. Via via che si sale con il consumo, gli effetti si notano sempre di meno fino a scomparire, a riprova del fatto che sarebbe sufficiente introdurre nella dieta il pesce fresco per evitare di dover ricorrere ai supplementi.

Lo stesso discorso vale per la vitamina D: non riduce il rischio cardiovascolare né quello oncologico; ha soltanto un piccolo effetto sulla mortalità da cancro. L’elemento evidente che riguarda gli omega 3 interessa invece il mare. È  ormai ben noto, e certificato anche dalla FAO già dal 2009 che gran parte degli impianti di acquacoltura di acciughe e di altri pesci di piccola taglia  non destinati al consumo umano, trae origine dalla necessità di soddisfare altre vasche: quelle di salmoni e di altri pesci allevati con la finalità principale di ricavarne omega 3.  Si tratta di un cortocircuito poco noto rispetto ad altri come l’allevamento dei bovini, che comporta conseguenze non meno devastanti per l’ambiente visto che  all’origine c’è una colossale operazione di marketing e poco altro.

È importante che i medici siano informati dei dati relativi agli omega 3 e smettano di consigliarli indiscriminatamente, così come i consumatori li dovrebbero assumere solo quando non possono o non vogliono mangiare pesce regolarmente, evitando così spese inutili.
In Italia nel 2016 sono state acquistate quattro milioni di confezioni di supplementi con omega 3, per una spesa complessiva di 84 milioni di euro.

Fonte: https://ilfattoalimentare.it

 

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